
Maya Amenduni
La Compagnia Colori Proibiti, diretta da Stefano Napoli, alla guida della compagnia dal 1980, presenta, lunedì 22 agosto alle ore 21.00, presso i Giardini della Filarmonica di Roma nell’ambito della 28° edizione de ‘ I Solisti del Teatro’: VANITY DARK QUEEN Niobe Regina di Tebe. Si tratta della terza ‘dark queen’ di Stefano Napoli dopo i lavori su Cleopatra ed Elena di Troia.
Niobe, l’antica regina di vanità, che volle farsi felice – anche per il numero dei suoi figli – contro l’antica saggezza per cui solo gli dei potevano dirsi felici. “Cose umane agli umani”, ovvero accetta l’incostanza della sorte e impara il limite. Niobe, ribelle al pari di Prometeo, trasformata in roccia di lacrime, Niobe segnava il confine da non superare. Nel tempo la sua immagine trascolora fino a diventare, con i suoi figli, decorativo elemento di giardini e fontane. Cosa può dirci ancora questa mater dolorosa? Forse in lei, come in un prisma, possiamo vedere riflessi il nostro orgoglio, la nostra fragilità, la nostra paura. Con: Paolo Bielli, Francesca Borromeo, Alessandro Bravo, Giacomo Galfo, Simona Palmiero, Luigi Paolo Patano e per la regia di Stefano Napoli.
Nelle note di regia Stefano Napoli ha scritto: «Visito per caso la Galleria degli Uffizi a Firenze e vedo la stanza dei Niobidi. Sono i figli di Niobe colti nell’ attimo dello strazio della morte. Le frecce di Apollo e Artemide sono mortifere, non lasciano scampo. Mi scopro a pensare che la bellezza per i Greci era un argine al dolore e alla morte. Questi inevitabili sì, ma qualcosa poteva durare più dell’effimera vita: la bellezza appunto e il ricordo. Qualcuno scatta foto e poco più in là un ragazzo sta facendo uno schizzo. Niobe è la madre. Punita dagli dei per aver osato gridare la sua felicità di madre sazia di figli, quando solo gli dei, e non i mortali, possono dirsi felici. Mi coinvolge di Niobe il suo essere una ribelle, una creatura di frontiera, al limite tra due mondi, quello divino e quello umano. Nell’antichità il mito di Niobe doveva essere un monito, ma io non sono alla ricerca di cause, colpe, delitti. Voglio solo guardarla. La sua è una storia d’amore, vanità, invidia, perdita, resistenza. Così ho spiato Niobe sull’orlo dell’abisso e nel suo dolore. Spero che non me ne voglia. Mi sono fatto influenzare dalle trasformazioni dell’immagine di Niobe da ribelle a mater dolorosa e regina del lutto e poi, con i suoi figli, a elemento decorativo di fontane e giardini. Ho ammirato la sua leggerezza e la sua durezza, la sua voglia di vivere nonostante tutto. E naturalmente ho letto anche Ovidio e Igino».
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