Festival di Film di Villa Medici a Roma

Inaugurato il Festival di Film di Villa Medici, Accademia di Francia a Roma, con il film di Mathieu Amalric, “Serre-moi fort”.  Il Festival farà riecheggiare, per cinque giorni, nella prestigiosa sede dell’Accademia, voci plurali che celebrano la vitalità delle pratiche contemporanee dell’immagine in movimento.

 

Qual è l’ambizione dichiarata di questo nuovo festival cinematografico? Quella di promuovere ed incoraggiare gli autori e le autrici che esplorano le relazioni tra cinema e arte contemporanea in un approccio impegnato, audace e poetico. Quella anche di essere un luogo di ospitalità per le forme nuove, i racconti alternativi e le riflessioni sugli attuali modi di produzione, in continua evoluzione.

Film d’artista, saggi, fiction e documentari, questa prima edizione del Festival offrirà una panoramica della creazione cinematografica più contemporanea, trasformando per qualche giorno Villa Medici, con i suoi tre schermi, in una splendida multisala.

Mathieu Amalric photo copyright 2021 by Carlo Marino #carlomarinoeuropeannewsagency

 

Il Festival si articolerà in tre sezioni: la competizione internazionale con quattordici film – realizzati tra il 2020 ed il 2021 e provenienti dai cinque continenti – riuniti da un comitato di selezione e posti sotto l’attenzione benevola dei tre membri della giuria: Teresa Castro, Mati Diop e Béla Tarr; la programmazione Focus con momenti clou performativi, masterclass e proiezioni di film d’artista fuori concorso; ed infine, i grandi appuntamenti del Piazzale che riuniscono, ogni sera, il pubblico intorno a proiezioni sotto le stelle. Al termine di questa settimana cinefila e festiva, la giuria conferirà due riconoscimenti: il Premio Villa Medici del migliore film e il Premio della Giuria per un film particolare che avrà richiamato l’attenzione dei giurati.

Per questa prima edizione del Festival di Film di Villa Medici saranno presentati quattordici film in competizione internazionale. Queste produzioni, di vario genere e durata, provenienti dai cinque continenti, includono sette prime mondiali ed internazionali e cinque prime italiane.

Dal primo lungometraggio ghanese autoprodotto, Amansa Tiafi di Kofi Ofosu-Yeboah, mix di Blaxploitation, “woman revenge movie” e satira politica al limite tra il pamphlet e la commedia all’italiana, sino a Between the Heavens and Me del grande artista cileno Alfredo Jaar che registra la paura del mondo nell’isolamento del lock-down; dal nuovo e atteso film di uno dei registi italiani più creativi, Michelangelo Frammartino, che con Il Buco propone una potente allegoria archeologica sulla violenza operata sulla terra dalla modernità, a Inside the Red Brick Wall, del collettivo anonimo di registi indipendenti Hong Kong Filmmakers, agghiacciante resoconto della repressione da parte della polizia delle rivolte di Hong Kong. La politica si tinge del misticismo allucinatorio tipico del barocco sudamericano, con El Gran Movimiento, secondo lungometraggio del boliviano Kiro Russo, che filma La Paz e il sottoproletariato dei minatori con stupefacente realismo magico, e il cortometraggio di Grace Passô, celebre drammaturga e attrice brasiliana, che nell’onirico República raffigura l’incubo brasiliano.

 

La friabilità dei confini tra reale e virtuale è al centro del lavoro di molti artisti contemporanei: con Petit ami parfait, il duo Kaori Kinoshita e Alain Della Negra prosegue la sua indagine su personaggi le cui vite e azioni si fondono con un mondo interamente digitale; con Graveyard Connexion il francese Jonathan Pêpe offre un’inquietante riflessione sulla morte nel XXI secolo; mentre il britannico Ed Fornieles, con Associations, offre un monologo ipnotico attraverso un travolgente flusso ininterrotto di immagini.

 

Le giovani artiste Madison Bycroft e Amie Barouh lavorano invece agli antipodi della messa in scena performativa: un dispositivo teatrale e sofisticato che interroga la nozione di genere, per la prima, l’immersione senza compromessi nel mondo dei Rom a Parigi, per la seconda. Quel che comunemente chiamiamo “Storia” è anch’essa oggetto di riflessione nel cinema contemporaneo. Con Lèv la tèt dann fénwar, la regista Érika Étangsalé intreccia, in 16mm e in Super8, a colori e in bianco e nero, la mitologia della Riunione e la politica migratoria del governo francese negli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso, e, attraverso la storia di suo padre, offre una testimonianza delle ferite visibili e invisibili della storia coloniale dell’isola. Pascale Bodet, con Vas-tu renoncer?, prosegue nella creazione di una fantasia burlesca e struggente attraverso i personaggi del pittore Édouard e del poeta Charles.

 

Infine, per la prima volta in Italia, sarà presentato The Works and Days, un film-sintesi girato in cinque stagioni e della durata di otto ore, vincitore della sezione Encounters alla Berlinale, secondo lungometraggio del duo composto dal fotografo svedese Anders Edström e dal regista americano Curtis W. Winter: una straordinaria meditazione su come il tempo limitato di una vita e il tempo ciclico della vita coesistono per gli esseri umani e per i loro fantasmi.

 

Carlo Marino

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