“Il Pellicano” (in svedese: Pelikanen) appartiene ai cosiddetti drammi da camera del drammaturgo di Stoccolma e questo animale dà il titolo al dramma perché una antica leggenda voleva che, piegando il becco verso il petto per cibare i piccoli con i pesci trasportati nella sacca, se lo squarciasse per dare loro nutrimento anche col proprio sangue, il sangue del proprio cuore. Quando nel dramma, composto nel giugno del 1907, arriva il momento dello smascheramento si metterà l’accento sul fatto che “il Pellicano non ha mai donato il sangue del proprio cuore”. L’ allestimento scenico è nel freddo salotto di una casa lussuosa e narra la tragedia di una famiglia alla deriva. Interessante nella messa in scena di Luigi Perego l’aver creato sul fondale una sorta di mattatoio per simboleggiare l’atrocità degli psicodrammi che si svolgono tra gli attori. Protagonista della pièce è la madre che regge le sorti della casa fingendo di non vedere il male che la accerchia, come se fosse solo tutto un sogno. I suoi figli appaiono entrambi mal nutriti e mal sviluppati, quasi degli “zombie”, in tutto dipendenti da lei. Gerda, sterile (sulla scena si muove anche su una sedia a rotelle) è sposata con l’amante della sua stessa madre. E’ lei che tenta in ogni modo di far funzionare il meccanismo rotto dell’amore, di emulare la madre. Anche Gerda sembra camminare nel sonno e non voler essere ridestata perché non riuscirebbe a vivere. Fredrick, il fratello, invece è un ubriacone disincantato, l’unico che riuscirà, però, a trovare una soluzione per far cessare finalmente il girone dell’abitudine. “La miseria della vita non ha fine e i figli non sono riconoscenti verso i genitori per natura”. “Dopo tutto quello che ho visto non mi sposerò mai”: il matrimonio viene visto da Strindberg come “una vita da cani”. Tutto il dramma comunque ruota attorno alla figura materna “contro la propria madre si è indifesi”! Le menzogne hanno fatto da manto alla relazione familiare creando il disprezzo per la vita, per l’umanità, per la società , un disprezzo così sconfinato da togliere ogni anelito vitale. Fredrik non ha il coraggio di tornare sobrio. Anche lui non ha la forza di vedere e vorrebbe una pozione che possa spegnere il ricordo senza soffocare la vita. Nel dramma si stente viva la tradizione dei grandi drammaturghi della Grecia classica e degli scrittori russi, francesi e tedeschi. Non mancano neppure le grandi intuizioni psicanalitiche freudiane e le posizioni di Nietzsche.
Carlo Marino